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Meningococco C: che fare?
 
Alberto E. Tozzi -U.O. Epidemiologia – ospedale Bambino Gesù, Roma

Una volta che un nuovo vaccino è disponibile sul mercato la peggiore strategia utilizzabile è non avere una strategia. Non è una storia nuova e il rapido sviluppo di nuovi prodotti vaccinali ci farà trovare nel futuro ancora di fronte ad una scelta che necessariamente dovrà essere basata sulle evidenze disponibili, insomma sui numeri. Il vaccino coniugato contro il meningococco C ha una storia virtuosa che vorremmo si verificasse più spesso. L’accelerazione dello sviluppo di questo vaccino, infatti, è stata dettata dall’esigenza di prevenire un sostanzioso numero di casi di malattia in Gran Bretagna: un raro esempio di messa a punto di un prodotto sulla base di esigenze di sanità pubblica.
L’Italia non è la Gran Bretagna, ma al momento, oltre le vivaci discussioni, non ci sono chiare posizioni su come utilizzeremo questo vaccino. Proviamo ad analizzare le singole componenti che meriterebbero di essere affrontate e risolte.
Il nostro ministero della Salute non ha emanato alcun documento di indirizzo per questo vaccino. Manca cioè qualsiasi riferimento normativo o a livello di raccomandazione, contrariamente a quanto avviene per altri vaccini pediatrici italiani. È urgente a questo punto che un documento ministeriale fornisca delle raccomandazioni per l’uso di questo prodotto. Se non altro, una raccomandazione generale potrebbe essere fatta indicando le popolazioni a rischio per le quali la vaccinazione sarebbe indiscutibilmente utile. È noto che le categorie a rischio di sviluppare più frequentemente alcune patologie infettive o di avere le complicazioni più gravi sono scarsamente vaccinate. Oltre ai dati della letteratura internazionale ce lo dice l’indagine ICONA che indica livelli bassissimi di copertura vaccinale per influenza, pneumococco e varicella in queste categorie.
Poi bisogna ragionare sui numeri. La sorveglianza delle meningiti batteriche coordinata dall’Istituto superiore di sanità va tenuta d’occhio continuamente. Man mano che la proporzione di casi di meningite attribuibili a meningococco C aumenta possiamo rivalutare il bilancio costi-benefici e prendere decisioni tempestive.


Già, ma è sufficiente parlare del bilancio costi-benefici? È possibile assegnare a un singolo caso di malattia grave e potenzialmente mortale un valore monetario?
Data la bassa incidenza della malattia (almeno nella maggior parte delle regioni italiane) la vaccinazione contro il meningococco C potrebbe rappresentare un uso inefficiente delle risorse sanitarie. Ma è un vaccino che potrebbe salvare alcune vite. La discussione che si ripropone alla presentazione di ogni nuovo intervento preventivo si può sintetizzare in una domanda: “Sarebbe possibile utilizzare le stesse risorse per effettuare un intervento che salva più vite o con il quale si può guadagnare più salute?”. Bene, ma l’altra domanda è “L’uso di un nuovo vaccino come quello contro il meningococco C è davvero un impegno finanziario inaccettabile per la sanità pubblica?”. L’annoso problema è che la frazione dei fondi sanitari dedicata alle vaccinazioni è talmente risibile che basterebbe razionalizzare alcune prescrizioni farmaceutiche per ricavare risorse largamente sufficienti a finanziare programmi vaccinali ben più costosi di quelli contro le meningiti batteriche.
C’è un’altra componente importantissima e che rappresenta la nostra principale sfida per il futuro: informare correttamente i pazienti. Il problema è quello di comunicare la probabilità di incorrere in una malattia invasiva e potenzialmente fatale. Di fronte a un pericolo per la vita, anche remoto, qualunque genitore accetterebbe di prevenire un simile evento anche accollandosi le spese. È di due anni fa una storia pubblicata su New England Journal of Medicine che racconta di una bambina di 12 anni deceduta per meningite meningococcica da meningococco C i cui genitori non erano a conoscenza dell’esistenza di un vaccino efficace per la prevenzione (1).

La discussione che ne è seguita è stata proprio sulla corretta allocazione delle risorse secondo il principio che investire in una simile strategia sottrarrebbe risorse ad altre attività sanitarie potenzialmente più efficaci (2).
Ma sarebbe sufficiente informare i genitori sull’esistenza di un vaccino efficace e sicuro contro il meningococco C e lasciare ad essi la scelta della vaccinazione?
Proprio alla luce della bassa incidenza delle malattie invasive da meningococco C il ricorso di una piccola parte della popolazione alla vaccinazione non porterebbe alcun beneficio misurabile. Per prevenire i pochi casi di malattia che osserviamo ogni anno sarebbe necessario vaccinare tutta la popolazione infantile. Quindi o tutti o nessuno. Personalmente penso che sia opportuno considerare la possibilità di vaccinare tutta la popolazione infantile gratuitamente con un percorso graduale e possibilmente orientato alla lettura dei dati regionali per favorire l’intervento nelle regioni con incidenza più alta. Penso anche che le strategie vaccinali (non solo quella per il meningococco C!) non debbano essere scolpite nella pietra ma vadano ridiscusse continuamente alla luce dei dati di copertura vaccinale e di incidenza delle malattie prevenibili. È un esercizio che mi auguro faremo sempre più spesso.

1) Offit PA, Peter G. The meningococcal vaccine - public policy and individual choices. N Engl J Med 2003;349:2353-2356

2) Way, A. B., Offit, P. A., Peter, G. Choices about Meningococcal Vaccination. N Engl J Med 2004;350: 1156-1156